Finché seguiti a vivere nell’autismo di una singola cultura e linguaggio, fin tanto che ti ostini a rimanere arroccato nel pensiero unico, mostrando intolleranza, ostilità e indifferenza verso qualsiasi diversità, difficilmente potrai aspirare ad alcuna forma di espansione della coscienza, multidimensionalità e vera conoscenza. Ostinandoti a impiegare un solo linguaggio e un’unica modalità di pensiero, continuerai a percepire l’immensità dell’esistenza da una minuscola e remota prospettiva, fraintendendo tutto e restando prigioniero di un circolo vizioso.
Ma con quale arroganza pretendi di convertire l’immensità della pluralità dell’esistenza in un solo linguaggio? Traduzioni e doppiaggi possono essere utili per darti una vaga idea di altre culture, ma se ti rifiuti di aprirti alle lingue originali o anche solo di ascoltarne i suoni, leggerne le parole od osservarne le grafie, pur non capendoli, seguiterai a rimanere bloccato in una realtà separata. Questo non vuol dire essere poliglotti o accademici. La comprensione di altri linguaggi parte dall’apertura al suono e alle immagini, dalla capacità di aprire il cuore intuitivo, di stabilire un dialogo con ciò che è diverso, di scoprire cosa si nasconde dietro ogni apparente diversità.
Ricercatori spirituali, sciamani, mistici, Sufi, ecc. sono in primo luogo linguisti multidimensionali.
Di seguito trovi una versione leggermente ridotta di una storia da “The Sufi” di Idries Shah:

I sufi hanno una parola che riassume il loro modo di pensare. Attraverso di essa capirai il motivo per cui l’umanità parla generalmente in contrasto. La parola è “Anguruzuminabstafil”, spiegata qui in una storia tradizionale sufi. Quattro uomini – un persiano, un turco, un arabo e un greco sostavano in una strada di un villaggio. Erano compagni di viaggio, diretti in qualche luogo lontano; ma in quel momento stavano litigando sulla spesa di un solo pezzo di denaro che era tutto ciò che avevano tra loro. “Voglio comprare l’angur”, disse il persiano. “Voglio uzum”, disse il turco. “Voglio inab”, disse l’arabo. “No!” disse il greco, “dovremmo comprare stafil”. Un viaggiatore di passaggio, un linguista, disse: “Datemi la moneta. Mi impegno a soddisfare i desideri di tutti voi”. All’inizio non si fidavano di lui, poi alla fine gli lasciarono la moneta. Questi andò da un fruttivendolo e comprò quattro grappoli d’uva. “Questo è il mio angur”, disse il persiano. “Ma questo è ciò che io chiamo uzum”, disse il turco. “Mi hai portato inab”, disse l’arabo. “No!” disse il greco, “questo nella mia lingua è stafil”. I grappoli furono spartiti tra loro e ciascuno si rese conto che la disarmonia era dovuta alla loro errata comprensione del linguaggio degli altri.
I viaggiatori, sono la gente comune del mondo. Il linguista è il sufi. Le persone sanno che vogliono qualcosa, perché in loro esiste un bisogno interiore. Possono dargli nomi diversi, ma è la stessa cosa. Coloro che la chiamano religione hanno nomi diversi per essa e persino idee diverse su cosa potrebbe essere. Coloro che la chiamano ambizione cercano di trovarne la portata in modi diversi. Ma è solo quando appare un linguista, qualcuno che sa cosa significano veramente, che si può fermare la lotta e mangiare l’uva.
Il gruppo di viaggiatori di cui sopra era più avanzato della maggior parte, in quanto aveva effettivamente un’idea positiva di ciò che voleva, anche se non poteva comunicarlo. È molto più comune che l’individuo si trovi in ​​una fase di aspirazione più precoce di quanto pensi. Vuole qualcosa ma non sa cosa sia, anche se può pensare di saperlo.