“All’inferno non brucia altro che l’io” (Theologia Deutsch) Quindi chi va all’inferno è solo l’io? Solo? Dalla prospettiva della realtà consensuale in cui ti trovi questo “io” con cui t’identifichi e sei identificato rappresenta l’unico dato di fatto. Inizia con la nascita del corpo fisico e poi seguita a esistere anche dopo la morte, a meno che non sparisca ogni traccia del tuo nome nei registri anagrafici, su internet e nei ricordi di altre persone.
Scrive Rumi: “Se non hai mai visto il diavolo guarda il tuo io”, a cui si può aggiungere: se non hai mai visto l’inferno guarda questa realtà consensuale.
“La mente è in fiamme, i pensieri sono in fiamme. La coscienza della mente e le impressioni che essa riceve, e le sensazioni che nascono da quest’ultime: anche queste sono in fiamme. E di quale fuoco ardono? Del fuoco dell’avidità, del fuoco del risentimento, del fuoco dell’infatuazione; della nascita, della vecchiaia, della morte, del dolore e delle lamentazioni, dell’infelicità e del dolore e della disperazione; ecco di che cosa ardono”. (Buddha, Ādittapariyāya Sutta, Sermone del Fuoco)
In questa realtà consensuale infernale rimangono tuttavia tracce sparute di un’identità primordiale. In essa dimora una sapienza di provenienza non umana, donata sin dai tempi più remoti agli uomini e da questi regolarmente distrutta e dimenticata. Di questa sapienza è rimasta un’impronta nella mente umana. Ritrovare e seguire le sue tracce è l’unica opzione per attenuare le sofferenze in questo inferno consensuale, fino a quando non riesci a liberarti da suo io e procedere altrove. Scrive Italo Calvino: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.
In questa realtà consensuale infernale rimangono tuttavia tracce sparute di un’identità primordiale. In essa dimora una sapienza di provenienza non umana, donata sin dai tempi più remoti agli uomini e da questi regolarmente distrutta e dimenticata. Di questa sapienza è rimasta un’impronta nella mente umana. Ritrovare e seguire le sue tracce è l’unica opzione per attenuare le sofferenze in questo inferno consensuale, fino a quando non riesci a liberarti da suo io e procedere altrove. Scrive Italo Calvino: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.